Paolo Rossi con la maglia del Lanerossi Vicenza |
Era il 29 giugno di trentasei anni fa, un venerdì fatto di ozio, come
quasi tutti i giorni dopo la chiusura delle scuole, di ozio sì, ma anche di
lettura della “Gazzetta dello Sport” che Don Achille il giornalaio mi teneva da
parte nei giorni in cui all’edicola arrivavo più tardi.
Sì, perché in quegli anni i quotidiani finivano presto. Don Achille
aveva la sua edicola sotto la stazione della metropolitana e la mattina in
tanti compravano il giornale prima di andare al lavoro.
Quasi tutti chiedevano “Il Mattino”, molti “Il Corriere”, che a Napoli
era naturalmente quello “dello Sport”, non quello “della Sera”. La “Gazzetta dello
Sport” era considerata troppo “del nord”, ma a me piaceva e la compravo
spessissimo.
Però in quei giorni di trattative tra Ferlaino e Farina anche la “Gazzetta”
andava a ruba. E l’amico giornalaio, al quale in verità lasciavo
settimanalmente intere paghette, non si dimenticava mai di me.
“Robè, e che ne so… fino ad oggi nessuno si è mai rifiutato di venire
a Napoli”. Mio padre chiuse la questione basandosi sui suoi ricordi.
In realtà l’introduzione (sin dal maggio 1978 ) della “firma contestuale”
consentiva a Paolo Rossi di rifiutare il suo trasferimento a Napoli, ma non era questo il
punto.
Come mai “Pablito”, capocannoniere della serie A nel 1978 e rivelazione dei mondiali in Argentina dello stesso anno era
entrato nel mirino del Napoli? E perché un giocatore come lui non voleva
venire a Napoli?
Le cronache dell’epoca raccontano che Giussy Farina, presidente del
Vicenza appena retrocesso in Serie B, doveva assolutamente sistemare il bomber della
nazionale in una squadra di Serie A, possibilmente una grande squadra. La permanenza a Vicenza sarebbe stata impossibile visto che oramai Rossi
era titolare fisso in nazionale. Il ragazzo aveva espresso al presidente le sue preferenze: o Juve (nelle
cui giovanili aveva già giocato) o Milan
(campione d’Italia nel 1979).
Paolo Rossi durante i mondiali del 1978 |
C’era però un problema: la Juventus aveva fatto svenare appena un anno
prima Farina per la comproprietà di Rossi. Infatti, in assenza di un accordo
per la risoluzione della comproprietà stessa, si andò alle buste. E clamorosamente
il Vicenza offrì la cifra più alta, circa 2 miliardi e 600 milioni di lire.
Ora la Juve restava alla finestra. Difficilmente il suo presidente Boniperti sarebbe
andato incontro alle pretese di Farina. Poi storicamente la Juve non partecipava
ad aste di calciatori.
Il Milan sembrava invece totalmente disinteressato al giocatore.
Il presidente del Vicenza del 1979, Giuseppe "Giussy" Farina |
L'allora presidente del Napoli, Corrado Ferlaino |
Come già accaduto quattro anni prima con l’acquisto di Giuseppe Savoldi,
mister 2 miliardi, non appena appurato l’interessamento a Pablito da parte del
Napoli, il mondo dell’informazione si staccò dal calcio e si tuffò sui problemi
della città partenopea.
E fu paradossalmente proprio il sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi,
primo sindaco comunista nella storia della città, a dare il “la” alle
polemiche, tuonando contro il “supercommercio di uomini”.
Il battibecco tra sindaco e presidente del Napoli Calcio fu avvilente,
tra accuse reciproche ed insulti.
Maurizio Valenzi,sindaco di Napoli dal 1975 al 1983 |
Valenzi si ricrederà alcuni giorni dopo, forse per il timore di divenire improvvisamente impopolare, o forse per la sensazione che le sue frasi potevano aver alimentato le solite critiche verso la città di cui era sindaco.
Quando il passaggio di Rossi al Napoli sembrò ormai certo, alcuni giornali del nord ci informarono prontamente che i tifosi del Napoli “sull’onda di un cieco entusiasmo, alla notizia dell’arrivo del centravanti vicentino sono accorsi a sottoscrivere abbonamenti… la società ha raccolto fior di quattrini anche nelle sacche della disgregata cintura suburbana…”.
Insomma, una descrizione non proprio tranquillizzante per chiunque
avesse già manifestato una certa ansia di rimanere soffocato dall’abbraccio dei tifosi e magari avesse voluto fare della privacy un caposaldo della propria esistenza .
Questo era lo scenario in cui Paolo Rossi, detto Pablito, di anni 23, si
trovò all’inizio dell’estate del 1979.
E' comunque doveroso ricordare che il Napoli era una squadra che non aveva vinto
ancora nulla, con grandi aspirazioni ma di fatto una squadra di metà
classifica.
Lui non credo conoscesse la città. Gli stereotipi intorno a Napoli
erano molto solidi.
Forse si fece consigliare da fidanzata, famiglia, amici e colleghi.
Forse pensava che alla fine al Milan o alla Juve ci sarebbe finito lo stesso,
visto che in Serie B non avrebbe di certo giocato. Diamine, lui era "Pablito", il
centravanti dell’Italia…
Ecco che Paolo Rossi disse di no.
Disse “sono stanco di fare l’uomo spettacolo, non mi va di essere
protagonista a vita”.
Parlò di “spensieratezza della gioventù”, di “preoccupazione per la
sua esistenza”.
Napoli già offesa da chi scriveva di una città “disposta per un’ora di
svago a grossi sacrifici, a dimenticare lo stato di emarginazione e miseria”, lo
fu ancor di più per non essere stata capita da un ragazzo di 23 anni che si
rifiutava di indossare la maglia azzurra.
Così Rossi non si trasformò in un “San Gennaro del
gol, un santino a cui si chiede la
vittoria come miracolo ogni domenica”, come scrisse qualcuno dando fondo al più classico campionario
di luoghi comuni.
Di fatto Rossi non volle prendersi la responsabilità di divenire l’uomo
simbolo di una squadra in cerca del suo primo scudetto. Non volle sulle spalle
il peso di una città sempre in cerca di riscatto, soprattutto attraverso il
calcio.
Paolo Rossi dichiarò di volere essere solo uno degli undici in campo.
A Napoli forse sarebbe stato impossibile.
Però credo che in cambio Napoli gli avrebbe dato un affetto
incredibile.
Come la storia dimostrò con un altro ragazzo, poco più che ventitreenne,
appena cinque anni dopo…
Bel pezzo su una storia che non conoscevo.
RispondiEliminaGrazie.
Calabrese Juventino :-)
Grazie per la partecipazione ed il commento postato.
RispondiElimina