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Eh no, il brutto anatroccolo ancora una volta non si è trasformato in
cigno. In realtà questa affermazione è figlia della “Sindrome di Vigo”,
patologia che colpì gran parte degli addetti ai lavori dopo il trionfo
dell’Italia di Bearzot nei mondiali di Spagna 1982, patologia non eradicata e
che sopravvive ancora. Allora le critiche, a volte divenute quasi insulti,
partirono prima dell’inizio della manifestazione. Superfluo ricordarne i
motivi, ma in tanti avevano archiviato e dimenticato quanto di buono quella
nazionale aveva fatto nei 6 anni precedenti. Però l’Italia non fece nulla per
far cambiare idea agli opinionisti, anzi. Nella prima fase giocò un girone
carico di paura e i 3 pareggi che qualificarono l’Italia al turno successivo
lasciavano presagire una catastrofe. Invece, smentendo tutte le più pessimistiche
previsioni, arrivò il titolo mondiale. Ma quello del 1982 non fu un miracolo.
Quella non era una cattiva nazionale, come la lettura dei 6 anni precedenti
racconta. Comunque, nella storia della nazionale, resta un caso quasi unico,
che possiamo associare solo alla nazionale di USA 1994, che però era
accompagnata da ben altro sostegno da parte della critica.
I numeri raccontano che, da quando Europei e mondiali hanno una fase finale con un primo turno a gironi come la conosciamo oggi, l’Italia è stata presente per 15 volte alla fase a gironi nei mondiali (dal 1950 al 2014) e per 10 volte a quella degli europei (dal 1980 al 2024). Per 8 volte è stata eliminata direttamente ai gironi (6 ai mondiali e 2 agli europei), mentre per 10 volte è arrivata fino all’ultima partita, fosse essa la finalissima o la finale per il 3° e 4° posto. Per 3 volte ha vinto la competizione (due mondiali e un europeo), ma ciò che è importante sottolineare è che le 10 nazionali capaci di arrivare fino in fondo hanno quasi sempre giocato una buona, se non ottima, fase a gironi. Per 6 occasioni su 10 l’Italia è stata prima nel proprio gruppo, per tre volte a punteggio pieno, Le vere eccezioni, due, sono state le nazionali di Spagna ‘82, di cui abbiamo scritto, e di USA ’94, arrivata in finale da ripescata. Al contrario, ad una prima fase zoppicante, quasi mai è seguita una seconda fase brillante. Così è successo tutte le volte che la nazionale ha lasciato la manifestazione dopo la prima sfida ad eliminazione diretta, da Francia-Italia 2-0 di Messico ’86 fino a Svizzera-Italia 2-0 dell’altro giorno. Insomma, il buongiorno troppo spesso si è visto dal mattino. Forse è arrivato il momento giusto per mandare in soffitta la Sindrome di Vigo.
“Il calcio italiano è povero di talenti”
Pur trattandosi di una affermazione soggettiva, che torna ogni volta
che la nazionale fallisce una manifestazione ed essere poi dimenticata quando
invece si vince, per analizzarla meglio ci possono venire in aiuto le
valutazioni delle rose delle 24 nazionali secondo il sito “transfermarkt.it”.
La nazionale italiana è al settimo posto tra le squadre di Euro 2024, con un
valore stimato di 705,5 milioni di euro. Prima dell’Italia ci sono Inghilterra,
Francia, Portogallo, Spagna, Germania e Olanda. Delle squadre che ha incontrato
l’Italia, solo la Spagna “vale” di più. L’Albania, battuta di misura, vale 111
milioni, la Croazia, raggiunta in extremis, circa 328 milioni, meno della metà dell’Italia,
e la Svizzera, che ha umiliato gli azzurri, 281 milioni, poco più di un terzo.
È quindi lecito chiedersi a cosa siano dovute queste valutazioni se in
nazionale non c‘è talento. La rosa scelta da Spalletti include ben 16 giocatori
con un valore di mercato dai 20 milioni in su, da Zaccagni a Barella, che di
milioni ne vale 80. I “talenti” svizzeri con valori analoghi sono appena
cinque, e il più costoso è Akanji con 45 milioni, poco più della metà di
Barella e 5 milioni in meno di Dimarco.
E nei prossimi giorni il calciomercato tornerà a convincerci che invece di talento ce ne è in abbondanza, tra richieste di aumenti contrattuali e ipervalutazioni in fase di compravendita.
La Serie A è poco allenante
È un altro dei ritornelli che torna sempre quando la nazionale perde,
la stessa nazionale che è considerata dalla Serie A un fastidio durante le
pause del campionato.
Una Serie A che comunque ha portato le proprie squadre in ben 5 finali
delle coppe europee su 6 negli ultimi due anni, gonfiando fieramente il petto
per essere riuscita ad ottenere una quinta squadra nella prossima Champions
League.
I calciatori di Serie A convocati nelle varie nazionali sono stati 103, esclusi i 20 che hanno vestito la maglia azzurra, ce n’erano altri 83. Non pochi per un campionato che non allena.
La Serie A è stancante e stressante
Tutti i maggiori campionati europei, eccetto la Bundesliga, hanno 20
squadre. Tutte le nazionali hanno in rosa un cospicuo numero di calciatori che
hanno giocato le Coppe europee e il numero di partite dei top player di
ciascuna nazionale è praticamente uguale.
Poi per ciò che riguarda il campionato italiano, vale quello che è
stato già scritto per la Serie A poco allenante. C’è da aggiungere che buona
parte degli 83 stranieri che giocano in Italia sono apparsi meno stanchi, più
in forma e più coinvolti nel gioco rispetto ai 20 azzurri. La Svizzera che ha
battuto l’Italia aveva in squadra 6 calciatori che giocano in Italia, 5 erano titolari
e non sono sembrati per niente stanchi. È altresì doveroso ricordare che il
miglior calciatore dell’Italia è stato Gianluigi Donnarumma, troppo spesso
criticato per aver scelto di giocare all’estero. A parte i guadagni economici
(leciti), è innegabile che abbia goduto anche di un guadagno in termini
calcistici. È apparso come il giocatore con maggiore statura internazionale, di
sicuro allenarsi con Messi, Mbappè, Neymar e Sergio Ramos ha aiutato la sua
maturazione ad altissimi livelli. Forse varrebbe la pena chiedersi se la
percentuale di nazionali italiani che giocano all’estero, appena l’11%, non sia
una concausa dei problemi che la nostra nazionale incontra da anni. Alla luce
delle difficoltà che di tanto in tanto incontra la stessa Inghilterra, la cui
percentuale di nazionali che giocano in campionati diversi dalla Premier League
è appena del 7,7%, questo fattore sembrerebbe avere un certo peso. E anche
nella nazionale dei tre leoni i calciatori che possono essere decisivi sembrano
essere quelli che giocano all’estero, Kane e Bellingham.
Come in tutti i lavori, le esperienze all’estero possono essere formative anche nel calcio, anche se siamo pronti a scandalizzarci quando un calciatore italiano sceglie di giocare in un altro campionato. In tutte le professioni, chi sceglie di andare all’estero lo fa spesso per guadagnare di più, ma uscire dalla comfort zone è anche un modo per maturare, confrontarsi e migliorare.
Ci sono troppi stranieri in Serie A
Tra i maggiori campionati in Europa, la Serie A, con il 55%, è al quarto
posto come percentuale di stranieri nella stagione appena terminata, dopo
Inghilterra, Portogallo e Francia. Subito dopo c’è la Germania con il 48%. La
Spagna è più in basso con il 39%. La storia recente della nazionale italiana
pare però slegata dal numero di stranieri in Serie A, visto che nella stagione
2020-21, che portò l’Italia al titolo europeo, gli stranieri tesserati in Serie
A erano 18 in più rispetto alla stagione appena terminata. E le due cose, se si
guardano gli altri campionati, non sembrano avere una relazione così diretta.
La conquista del posto in squadra da parte di un calciatore italiano dovrebbe
essere invece frutto di una competizione che può far crescere il giocatore,
abituandolo a lottare e giocare ai livelli più alti. La certezza del posto in
squadra, figlio di una “quota” minima di italiani, non porta per forza ad avere
una nazionale più forte e matura.