mercoledì 22 febbraio 2023

IL KARTING NEGLI ANNI. 1a puntata: QUANDO UN TRABICCOLO CON QUATTRO RUOTE BASTAVA PER SOGNARE

 La storia che racconterò è una storia di passione e di amore per i motori e le quattro ruote. 

LA STORIA

Se in Italia dici passione per il Motorsport pensi subito a certi territori. La cosiddetta Motor Valley, nel territorio emiliano romagnolo, la regione in cui Enzo Ferrari creò la fabbrica di automobili da corsa più famosa e vincente al mondo. Oppure Monza e la Lombardia, dove l’automobilismo sportivo italiano è cresciuto e ha fatto la storia, dalla Mille Miglia ai Gran Premi di Formula Uno.

Eppure la febbre per le quattro ruote è stata sempre ben diffusa in tutta Italia, e agli albori dell’automobilismo sportivo le gare spuntavano come funghi in tutto il paese. Tanto che in pochi sanno o immaginano quanto l’automobilismo sportivo sia stato e sia tuttora patrimonio anche del meridione d’Italia.

La Sicilia, così apparentemente lontana dall’epicentro del Motorsport italiano, poteva vantare gare quali la Targa Florio, la corsa più antica del mondo. Poi il Gran Premio del Mediterraneo o Gran Premio di Enna, gara di Formula Uno fuori campionato che si corse sullo storico circuito di Pergusa tra il 1962 e il 1965, proseguendo fino al 2003 con vetture di formule diverse. Oppure il GP di Siracusa, che si disputò dal 1951 al 1967 come apertura della stagione europea, benché fuori dal campionato del mondo.

E, risalendo lo stivale, Napoli e la Campania hanno avuto un ruolo importante nell’automobilismo sportivo dagli anni ’30 agli anni ’60. Infatti, tra il 1933 e il 1939 si disputò la “Coppa Principessa del Piemonte”, su un lunghissimo anello stradale che attraversava Campania, Basilicata, Puglie e Molise, mentre dal 1948 al 1962 il circuito cittadino di Posillipo ospitò il Gran Premio Napoli, gara prima dedicata alle monoposto di formula 2, poi ai prototipi e dal 1954 alla Formula 1.

(Credits Vitadistile.com)

La provincia di Napoli diede anche i natali alla prima pilota donna al mondo capace di qualificarsi ad un Gran Premio di Formula 1: Maria Teresa de Filippis partecipò al Gran Premio del Belgio 1958, terminando la gara in decima posizione.

Maria Teresa De Filippis (credits Getty Images)

Dopo gli anni ruggenti, l’automobilismo sportivo in Campania cominciò a soffrire della mancanza di eventi di richiamo nazionale e internazionale, anche a causa delle limitazioni dovute alla sicurezza. I percorsi stradali non andavano più bene e piloti ed appassionati si allontanarono inesorabilmente in cerca di aree più adatte nelle quali continuare con la propria passione. Di conseguenza tutti gli artigiani dell’automobilismo da corsa scomparvero lentamente. Restarono le gare in salita, che però rappresentavano una specialità di nicchia troppo poco pubblicizzata e seguita.

Per gli appassionati degli anni '60 e primi anni  '70 non c'era alcuna possibilità di provare occasionalmente il brivido della velocità con un qualcosa che somigliasse minimamente ad un mezzo da corsa. Il karting era agli albori, il noleggio non era contemplato. Chi voleva provarci doveva accontentarsi delle piste nei Luna Park, tipo l'Autopista del Sole nell'Edenlandia, il Parco dei Divertimenti di Napoli, all'epoca ancora il più famoso d'Italia. L'attrazione doveva essere persino considerata pericolosa, o le vetture elettriche troppo veloci, visto che l'accesso alle macchinine era vietato ai minori di 14 anni.

I piloti della domenica (è proprio il caso di definirli così) si sfidavano tra di loro,  con parenti e amici che da fuori guardavano e tifavano come in un Gran Premio vero e proprio. E la fila per entrare era chilometrica. C'era una gran voglia di gareggiare sulle quattro ruote, e chi primeggiava in quelle mini gare tornava a casa molto soddisfatto. E magari il giorno dopo si sarebbe vantato delle sue qualità velocistiche con i colleghi al lavoro o gli amici al bar. Sognando di guidare una vera auto da corsa un giorno, magari proprio una Ferrari.

Poi arrivò il karting. Si trattava di un karting rudimentale, un’attività che ai suoi inizi fu alquanto avventurosa, con mezzi spesso autocostruiti e su piste di fortuna. Il karting però dava la possibilità, a chi ne avesse voglia, di provare il brivido della velocità a costi contenuti.

Negli anni ’70 iniziarono a spuntare le prime piste artigianali. A Napoli si ricorda una pista ai Camaldoli, un’altra a Licola, nell’area flegrea. Poi Caiazzo nel casertano e poi le piste che nel tempo hanno fatto la storia del karting nazionale ed internazionale, come il “Circuito Internazionale Del Volturno” di Limatola, il “Circuito del Sele” di Battipaglia, la "Pista Italia" di Castel Volturno e il “Circuito Internazionale Napoli” di Sarno, una pista quest’ultima divenuta famosa per le sfide all’ultimo sorpasso di quei ragazzini che sarebbero diventati i migliori talenti della Formula 1 del XXI secolo.

Questi circuiti iniziarono anche a dare la possibilità agli appassionati di noleggiare dei kart, che allora tutti chiamavano semplicemente go-kart. Adulti e ragazzi iniziarono così a immaginare di essere per un giorno uguali ai piloti più famosi della Formula 1 su piste che la fame di Motorsport faceva apparire loro come delle piccole Monza o Montecarlo. Beh, i mezzi erano davvero molto rudimentali. Di solito una serie di tubolari con un sediolino, quattro ruote ed un motore smontato da qualche moto-falciatrice.

Questi kart primordiali erano veramente lenti, ma all’epoca, a chi li provava, questi trabiccoli con quattro ruote e uno sterzo dovevano sembrare delle piccole auto da corsa, benché essi difficilmente raggiungessero i 50 km/h. In fondo il massimo della velocità per quei ragazzi era fino ad allora rappresentato dalle piste dei luna park, con macchinine elettriche su cui ci si sfidava sognando di essere Jackie Stewart o Emerson Fittipaldi.

Ma ai più bravi, o a quelli che pensavano di esserlo, queste emozioni non bastavano. Duravano un attimo e poi si iniziava a cercare qualcosa che andasse più veloce. E allora si iniziava ad andare in giro alla ricerca di qualcuno che avesse un vecchio kart 2 tempi, magari auto-costruito, anche mezzo rotto, per provare ad andare più forte. Comprare un kart costicchiava abbastanza all’epoca, però, dopo l’investimento iniziale, con un mezzo proprio si poteva noleggiare la pista molto più a lungo. Tanto che, una volta sul circuito, quasi con gli stessi soldi spesi per una mezz’ora su un trabiccolo a noleggio si faceva una mezza giornata di prove.

 Eh sì, perché quelle che prima erano puro gioco, col proprio kart diventavano prove. Sul proprio mezzo, giorno dopo giorno, si imparava a gestire la trazione senza andare in testacoda, poi si capivano le traiettorie migliori, poi si iniziava ad andare più veloce. E si iniziava a sorpassare quelli che sulla pista andavano più piano. Fino a che non compariva magicamente qualcuno che ti cronometrava. E già, le telemetrie e i GPS erano ancora di là dall’arrivare sui kart e sulle piste, ma il vecchio cronometro raramente era bugiardo, e quando all’improvviso qualcuno ti diceva che eri andato forte ti esaltavi e ti dicevi: 
“…ehi, ma allora quasi quasi mi iscrivo a qualche gara!”

È così che tanti appassionati sono diventati dei piloti in quegli anni.

Ma diventare kartisti negli anni ’80 non era semplice. E non era neanche economico.

(continua)

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